P A G I N E    IN    C O S T R U Z I O N E
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Il padrone: "Signor somaro, venga avanti per favore".
Il somaro: "Sendi quissu comme parla! Che 'ssa' magnato lu vocabbolariu?
"Quissu nò lo sa che io so mondanaru, cucciutu e tignusu".
"Io da qui nò mme moo. Io do retta solo a chi me parla in dialetto e solo "Dialetto Sibillino".


PREFAZIONE

(Dal Libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli,
Pescara, Stabilimento Industriale Grafico, 1915)

Questi sonetti sono stati scritti nel vernacolo di Amandola, cittadina posta nell'alta valle del Tenna, in faccia al mirabile gruppo dei Monti Sibillini, dove il dialetto marchigiano, così detto dell'u finale, ha le sue ultime propaggini verso l'Ascolano.
Il linguaggio semplice e bonario, che rispecchia l'indole di quella semplice e bonaria gente, non si può svolgere che nello stretto ambito della vita familiare e locale. Oltrepassando questi limiti, si cade nell'affettazione e nell'artificio. Il romanesco di G. G. Belli poté essere anche terribile strumento di satirica politica, il siciliano di G. Meli e il sardo di S. Satta hanno forme e movenze liriche, Carlo Porta piegò da par suo il milanese persino a polemiche letterarie. Ma il dialetto marchigiano, parlato soltanto dagli umili ed eminentemente rurale, non può trattare, per dirla onc Alfonso Leopardi, che di "argomenti umili, piani, semplici e preferibilmente locali". L'autore quindi non ha voluto derogare da questo precetto.
Egli non ha avuto sempre la pudicizia dei ….. per nascondere le parole men che decenti , poiché questo non è un libro di propaganda né un testo di lettura per ragazzi. Non ha potuto evitarle perché esse sono moltissima parte del linguaggio del volgo, che si è voluto ritrarre dal vero come lo specchio riflette l'immagine.
Quindi chi può sentirsene scandalizzato, arricci pure il naso e passi oltre.

***

Il dialetto marchigiano dell'u finale abbraccia la parte centrale e maggiore della regione, i cui limiti si possono determinare fra la valle dell'Aso a sud e quella dell'Esino al nord. Ma il distacco dei dialetti contigui non è certamente netto; infatti, Ancona, Iesi, e specialmente Falconara partecipano anche dei dialetti gallo-piceni del Pesarese e, in giù, Porto San Giorgio foneticamente si avvicina all'Abruzzo.
Questo dialetto, pur risultando unico nei caratteri fondamentali, sia fonetici che morfologici, varia alquanto non solo da provincia a provincia, ma anche da paese a paese, da centro abitato a contado, e persino da persona a persona secondo la condizione sociale e il grado di istruzione. Ne consegue che le sue caratteristiche mostrano (come ad un attento esame può rilevarsi anche nella presente raccolta) una certa incostanza, specialmente fonetica, che non è sempre imputabile al raccoglitore.
Ad ogni modo va notato, che il dialetto qui trattato è nella massima parte quello cittadinesco.

***

In quanto alla fonologia e alla riproduzione ortografica adottata, si deve notare che nel marchigiano non esistono che vocali semplici, come nel toscano, e cioè a, i, u, è ed ò aperte, è ed o chiuse.

La s e la z sono sempre sorde.

La s dinanzi ad altra consonante ha suono strisciato: statu si pronuncia quasi sc-tatu.

Con sc si indica la pronunzia strisciata di e di e intervocali, derivanti questi da un s latino: quasci quasi, cascio cascio, fascio'lu fagiolo. Con ssc s'indica il suono spirante palatale toscano sc: quindi lasscio, presscia, ecc.

I nessi chi e ghi hanno suono schiacciato, a differenza del suono toscano semplicemente gutturale.
Il nesso ghi, dove l'occlusione si fa maggiormente sentire, è stato riprodotto con ghj.

Nel marchigiano, come nel meridionale, si nota la tendenza a dare una certa sonorità alle consonanti sorde, in ispecie dopo le nasali n, m; quindi c, p, e t divengono quasi g, b e d, e f s'ode talvolta come b, (1) ma ne differiscono sempre un poco; perciò, anche per semplificazione ortografica, sono state lasciate.

  1. G.G. Belli si burlò di questa tendenza di pronunzia marchigiana, mettendo una buona giunta al peso, in un sonetto scherzoso, intitolato Sonetto pasdorale, che al Morandi parve "un'ingegnosa trovata" e che leggesi in nota a pag. 163 del vol. V de' suoi "Sonetti Romaneschi" (Lapi, 1906).
Però dopo la liquida r cadono perfettamente e rispettivamente a g, b e d; nqu diviene spesso nch o ngh. La l (elle) iotacizzata, rappresentata nel toscano dal fonema gli, suona doppia jj, che si scempia nell'ultima sillaba dei proparossitoni: quindi pajja paglia, ma porteje portagli.

Con l'accento circonflesso si è notato l'allungamento di pronunzia delle vocali interne, dinanzi a fognazione di consonante o risultanti da contrazione, e delle vocali iniziali.

All'intelligenza del lettore, che avrà la pazienza di scorrere questo libro e ancora di più quella di leggerne la prefazione, basteranno queste poche note. Per una più ampia trattazione dell'argomento non è questo il luogo adatto.

Sono stati raggruppati in un glossario gli idiotismi e i vocaboli più oscuri per non rimpinzare di note il testo.

***

Il lettore non si meravigli di non vedere al solito occhieggiare nella copertina di una raccolta di versi dialettali, come la civetta sul mazzuolo, il nome di un illustre buttafuori. L'autore non ha inteso fare un'opera d'arte, che dovesse raccomandare alle cure di un aio autorevole, ma. per quanto lo comportassero le sue forze, dare per la prima volta un saggio senza pretese e senza fronzoli di uno schietto ramo delle parlate marchigiane, assai degne di studio, per quanto trascurate o quasi dai glottologi.

I maligni potranno osservare che il saggio sarebbe forse meglio riuscito scrivendo in prosa e risparmiandosi la fatica di ponzar sulle rime. L'autore è pronto ad accettar di buon animo il consiglio per l'avvenire, se gli verrà dato da chi ne abbia autorità e competenza.

Roma, gennaio 1915.


Nota dell'Associazione Culturale "La Cerqua Sacra" di Montefortino.
Il dialetto di Montefortino, da tutti chiamato "Dialetto Sibillino" differisce da quello di Amandola solo per una parola: NEVICA.
In Amandola si dice "negne" mentre a Montefortino si dice "nengue".

Negne,
lu gattu fa le legne
lu ca' le porta a venne
ce compra le cazole
se le mette quanno pioe.

Le parole che caratterizzano il "Dialetto Sibillino" sono: quanno quando, quando quanto, jemmete greppo, unn'itu un dito, fratutu tuo fratello, face falce e tutte quelle che finiscono con la u (sverdu svelto, tundu tonto, fungu fungo, fargu falco, terrenu terreno, pipiru peperoni, cucciutu cocciuto, tignusu, tignoso, mondagnolu montagnolo, 'n'gorbu un colpo, cappottu cappotto, ecc.)


LA DIVUZIO' DE LA JENTE

(Dal libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli)

Conta co' mme: quarantasei capù,
nove polanche, sette agnelli vii,
'na montagna de cascio ata ccuscì,
jeci canestre d'oe, trenta picciù …
E te cridi che basta? Ai vojja tu!
Lonze, salami, frutti, tre bbarrì
de quello probbio che se chiama vì,
e 'n frecu de ciammelle per de più.
Ebbè, tutta sta robba per magnà
ce l'à 'uta sta pasqua donn-Antò
pé rregalu da tutti sti villà.
Eppò se lagna! eppò vò di dde no!
Eppò tutti sti preti sta a strillà
che mo' non ci sta più divuzio'!

Il libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli (Pescara, Stabilimento Industriale Grafico, 1915) è presente, in copia, presso la Biblioteca Sibillina "La Cerqua Sacra" di Montefortino.


DORIDE SANTUCCI SCIRE'

Doride Santucci Scirè, nata a Sant'Angelo in Pontano (MC), vive da molti anni ad Amandola (AP) dove ha svolto e svolge tuttora un'intensa attività teatrale come autrice e come regista del gruppo "Un teatro per le Marche".
"Le sue opere sono state accolte con grande favore, hanno avuto numerosissime rappresentazioni e sono entrate nel repertorio di molte compagnie marchigiane, ottenendo ovunque convinti consensi del pubblico ed apprezzamenti della critica anche ai più alti livelli accademici. La fama ha superato i confini nazionali, come testimonia la richiesta di copie dall'Università statunitense di Harward. Il successo è da ritrovare nelle novità che l'autrice introduce nel teatro marchigiano, innalzandone il livello verso una produzione nella quale il nostro "particulare" regionale assume i caratteri di un "sentire" di ben più ampio respiro. La "commedia" di questa autrice, infatti, assume i caratteri della rappresentazione del profondo di ognuno, dell'universale soffrire, gioire, amare, sperare".

Prof. Bruno Egidi

Le seguenti opere, gentilmente donate dall'autrice, sono presenti nella Biblioteca Sibillina "La Cerqua Sacra" di Montefortino:

  1. "Lu ciavattì filosufu", commedia in tre atti in dialetto Marchigiano, Centro Stampa Piceno - 1981 - Ascoli Piceno;
  2. - "La bottega de Pizzòla", commedia in tre atti in dialetto Marchigiano, Centro Stampa Piceno - 1985 - Ascoli Piceno;

  3. - " 'Rreto 'sta fratta", farsa in un atto;

  4. - "GIULIETTO E ROMEA", commedia in due atti in dialetto Marchigiano, Centro
Stampa Piceno - 1996 - Ascoli Piceno;
La rappresentazione teatrale delle opere pubblicate è sotto tutela S.I.A.E.

Il somaro: "De Peppe e Mario sotto la cerqua sapete cosa"?

SOTTO LA CERQUA
(Tando pe passà tembu)

Peppe: Oh Mario raccondeme 'mbò de quanno lu sorrece, scappatu da lu jemmete, muccicò unn'itu a fratutu.

Mario: Oh Pè, lascia perde, ma che vai a smuscinà? Piuttosto dimme nbo’ na cosa, ma tu li si sinditi mai minduà ssì UMRU?

Peppe: Mo chi gorbu è ssì limani? Co tutte 'ste cose noe non ce se capisce più ccosa.

Mario: Ma quisti mica è noi, ce stava prima de li preti.

Peppe: E quanno Madonna ce stati? Li preti c'è stati sembre. Nisciù je la fatta a sdemettili.

Mario: L'UMRU, è li Celti, è quilli che ha dato lu nome all'Umbria.

Peppe: Beh! A nuatri che ce ne freca?

Mario: Ce ne freca, perché quissi è passati su ppe' le mondagne, su llà strade che 'na ote facìa quilli de Montefurtì pe gghj' in Umbria, e po’ è rriati qui su le parti nostre.

Peppe: Io no l'ò visti mai, però saccio che quilli de Montefurtì tira la voccia e coje lu pallì.

Mario: Oh Pè lascia perde co ssà cazzata de Montefurtì. Piuttosto l'Ambru lu cunusci?

Peppe: Eh! n'accidende. Ce so statu pure domennaca a magnà li lupì de Ciccandò.

Mario: L'Ambru se chiama cuscì perché prima de la Madonna ce stava ssì limani.

AMBRU - UMRU - UMBRU non te dice cosa?

Peppe: Ma sarrà 'n casu. Che ce sai da do vè li nomi?

Mario: Oh!? Ma tu sì cocciò sa!? Marte lo sai chi era?

Peppe: Ah Romolé?! Che me fai cuscì stùputu? Marte era il "Dio della Guerra de li Romani".

Mario: Lo vidi quando sì somaru!

Peppe: Lascia sta lu somaru eh!? Se me devi dì che non capiscio cosa, dimme gnorandò.

Mario: Gnorandò, Marte era un Dio celtico, li Romani dopo se l'à frecatu.

Peppe: Beh! Marte che c' endra?

Mario: Non te dice cosa Col Martese, Cambu de Marte, S. Maria de Marte, S. Giovanni de Marte, Martelletta?

Peppe: Ngorbu! Vurristi di che c'è stati quissi?

Mario: C'è stati scì. E po’ le Madonne de la Cerqua de Montefurtì, d'Amandola e quella che sta su vicino Norcia, è sembre robba de quissi. Quissi java sopre le cerque a coje lo vischio.

Peppe: Pe cchiappà li cillitti?!

Mario: Ma che cillitti! Ce facìa na medicina, che era comme l'acqua de Lurde, facìa guarì tutte le malatie. No lu sì vistu mai Asterix su la televisiò?

Peppe: Quesso che me dici me scappa tutto de 'n fiangu. Pe' furtuna che non'è vinuti a Cumunanza!

Mario: C'è vinuti, c'è vinuti. No li visto che ce sta su llà casa de llà de lu ponte? Ce sta lu picchiu disegnatu su na pietra.

Peppe: Beh! Lu picchiu che vordì? Ce ne sta tanti in giru de celli.

Mario: Lu picchiu, mica era un veccacciò, lu picchiu era "Il Dio Picus", la religiò de ssì UMRU.

Peppe: So rmastu senza parole. Io de sse fregne 'n sapìo cosa. Però tande ote ci'aìo penzato a llu picchiu che sta su lu stemma de la Regione. Ogni ote che lu vidìo, tra me e me, me chidìo: Ma che vordì llu picchiu?

Mario: Vordì, Vordì …Ma mò Pè , dimme nbò n'atra cosa. Do sì statu a piandà Maggiu?

Peppe: Mario miu, te lo devo proprio dì. Quist'anno sò fatto na piandata che me vasta pé 'n bar d'anni.

Mario: Lo sai perché se dice "Piandà Maggiu"?

Peppe: Che me ne freca. Vasta che se pianda. Comungue lo dicìa sempre nonnu.

Mario: Se dice cuscì perché sempre quissi UMRU, a Maggiu, facia na festa grossa e appena se facìa notte piandava Maggiu tutti, anzi "rmittìa" perché quissi la festa la chiamava "RMITTI MAGGIU".

Peppe: Lo sai che ogghj co quissi mi si ffatto vinì 'n dubbiu.

Mario: Quale?

Peppe: Me pare che a nuatri a scola ci'à mbarato tutto lo condrario.

Mario: Oh Pè te veco moccò stranu. Vulìmo fa quello che simo fatto jeri a quest'ora?

Peppe e Mario: Jimece a beve 'n vicchiere de vì cotto, tando lu stradellu sta fattu.

Mario: E dopo jimo a vedè le partite de Gaetà.

Peppe: Sci, sci, anche se non'è Maggiu, che ce sai, tante ote se po’ anche rimedià.

Mario: Sci, sci, pé sse stangone dell'Este non'è mai peccatu. Mica ci'à lu Papa quesse!!

Peppe: Te le so raccondato dell'atr'anno, ………………

Mario: Oh! Pè? Sarrà mejo che me lo raccondi de matina.
 
G L O S S A R I O 

(per coloro che non conoscono il dialetto sibillino)

mbò un po’
de quanno di quando
lu sorrece il sorce
da lu jemmete dal greppo, dalla scarpata
unn'itu un dito
a fratutu a tuo fratello
ma tu li si sinditi mai mintuà ssì ma tu l'hai mai sentiti nominare codesti
ssì limani codesti animali
nisciù je la fatta a sdemettili nessuno ce la fatta a dismetterli
su llà strade su quella strada
che 'na ote che una volta
però saccio però so
coje lu pallì coglie il pallino
co ssà cazzata con codesta cazzata
domennaca domenica
a magnà li lupì a mangiare i lupini, le fusaie
cuscì stuputu così stupido
lo vidi quando sì  lo vedi quanto sei 
se l'à frecatu se lo hanno fregato
ngorbu un colpo
quissi java sopre le cerque costoro andavano sopra le querce
a coje lo vischio a cogliere il vischio
pe cchiappà li cillitti per acchiappare gli uccellini

(cellu - cillittu - cella - celletta - cellacchiò)

l'acqua de Lurde l'acqua di Lourdes
no lu sì vistu mai non l'hai visto mai
de 'n fiangu da un fianco
su llà casa de llà de lu ponte su quella casa di la dal ponte
ce ne sta tanti in giro de celli ce ne sono tanti in giro di uccelli

(con malizioso riferimento al sesso)

so rmastu sono rimasto
io de sse fregne non sapìo cosa io di codeste questioni non sapevo nulla

(fregna frignittu !?)

tande ote ci'aìo penzato a llu picchiu tante volte ci avevo pensato a quel picchio
ogni ote che lu vidìo ogni volta che lo vedevo
do sì statu a piandà Maggiu dove sei stato a piantare Maggio
quist'anno me so fatto quest'anno ho fatto
me vasta pe 'n bar d'anni mi basta per un paio di anni
rmittìa rimettevano (rimettere in garage)
ogghj co quissi mi si fatto vinì oggi con costoro m'hai fatto venire
me pare che a nuatri mi sembra che a noi
te veco moccò stranu ti vedo un po’ strano
'n vicchiere de vì cotto un bicchiere di vino cotto
lu stradellu sta fattu il sentiero sta fatto
jimo a vedè andiamo a vedere
mica ci'à lu Papa mica hanno il Papa
te le so raccondato dell'atr'anno te lo raccontato dell'altro anno
sarrà mejo sarà meglio

…… by "La Cerqua Sacra" (non ci sono diritti riservati)


Guardéte - Guardate
Guardète - Guardavate
Guàrdete - Guardati

"Oh!? C'è unu a Macerata c'ha scritto 'na poesia su lu somaru. Se chiama Giordano De Angelis e scrive in dialetto maceratese.

LU PRISIDENDE

- Io vaco in ferie - desse lu leò.
- E ssò' preoccupatu, perché qui
senza 'na guida e 'n'organizzazzio'
c'è rischju che succeda un gran casì.

Vaco, per un misittu, jò lu mare;
e, a postu mia u' mmoccò' cià da sta' quillu
che non ve fa fa' quello che ve pare.
Solo ccuscì io pozzo sta' tranguillu.

Indando , se ce sta 'che candidatu,
lo pòle di'. Se po fa pure avandi.
Jé garandiscio che verà 'scordatu
e elettu, se sta vène a tutti quandi.

Parlò lu gufu: sùbbito scartatu.
Se fece avandi l'quila reale.
Lu lupu ce proò co' 'n ululatu.
Se candidò, perfino du' cicale.

Finghé a la fine, se sindì 'na voce:
- Per carità …non è per famme véllu …
Ma, visto che 'ssa fava non se còce …
se me volete … - Adèra un somaréllu.

D'istindu capì tutti ch'era adattu.
Unu che non capisce pròbbio gnènde.
La volpe fecel'ucchjulì' a lu gattu …
Lu somaru fu elettu prìsidende.

Il somaro: "Quande ne duimo sopportà …."


Ogghj ve vojo recità 'na poesia de 'Ntunì de Tavarrò, una che me stà proprio a core perché parla de la sagra de le cucciole, quella che se fa tutti l'anni, d'agosto, a Montefurtì.

LA SACRA DE LE CUCCIOLE

(Dal libro 'Ntunì de Tavarrò - Le poesie - Adriatica Editrice Ancona - 1991)

Ormà che s'è cambiato tutto quanto
a paragò de prima è 'na cuccagna;
prima era sacro quello ch'era santo
mo' pare sacro quello se se magna.

Tu guarda li paesi, quasci tutti
de fa la sacra cià misto l'usanza;
o co' le scroccafuse, o de prisutti
basta che penza pe' rimpì la panza.

C'è quilli che la fa co' li gelati,
de pescio, de porchette, de vrasciole,
Montefurtì ch'è meno sciuperati
de l'atri, jé la fa co' le cucciole.

Dice ch'è bone, però non ce credo,
for de la coccia se po' magnà tutto,
ma lì la testa, quanno che le vedo,
jé scappa su 'n zoché che me fa vrutto.

Mojama d'ogni tanto va 'n campagna
e quasci sempre me le raccapezza;
dirrà: che poi sapé, se se le magna
po’ esse pure che me ce se 'vvezza.

Fino che no' lo sai, bè, pacienza,
pare che chi lo sa quello che vale,
ma s'unu se ne 'ccorghie, che ce penza,
ad'è 'na cosa che se gnotte male.

Tu 'rpenzi sempre quelle loco 'nanti
e te fa senzu che non ce se crede …
Sarrà perché d'è comme dice tanti,
che li difetti nostri non se 'rvede.

Sennò per comme lascia la passata,
per comme se strascina le casette
e per prudenza su la camminata,ì
che scia 'na cosa sacra, se po' ammette.

Però, le corne, a me me pare strano …,
per via che a tutti piaceria d'avelle,
se se putìa sapé che, piano piano,
ce diventava sacre pure quelle.

Indando la cerqua è sacra e ce sta pure 'na poesia che s'entitola "Janna, Janna" , che in italiano significa "Ghianda, Ghianda".

JANNA, JANNA

Ninu, ninu,
janna, janna,
lu cortellu che te scanna
l'acqua calla che te pela
lu zampittu pe' sta sera.

"A Cumunanza ce sta lu cunfine, de qua de lu fiume parla comme nuatri, de llà non ce se capisce cosa. Sentete 'n po' comme scrive Middio de Mena.

LU FORESTIERU

Era na dumenneca mmatina
parìa che ne mme sentie tante bbè,
sotto le piante a ssedé su na panchina,
passò n'amicu e me vose uffrì ncaffè.

Adera meje che nen c'ere jitu
ntiziu la lu barre nen parlava a versu,
quelle che vulìa ne lu so capitu,
cuscì lu caffè me jette de traversu.

A voce ata e con arroganza
parecchie cose ècche ne gne java
dicìa male de Cummunanza
s'era per issu a stu paese jé sputava.

Dope de stu fattu ie me so nfurmatu,
faticava che na fabbrica qui a ttunnu,
a Cummunanza s'era sistematu
adera risolte li problemi de stu munnu.

Ciavìa l'alfa, la moto e la panda
un forestieru che duvìa sta propriu contentu
nen ciuccurrìa de fa sta propaganda
s'era cumbrate nbellu appartamentu.

Ie so cummunanzese e me ne vante
però se ditte sempre e risaputa,
a stu furestieru jè ne vurrie dì tante
che su lu piattu ddo' se magna nce sse sputa.

Middio de Mena

….. parìa che ne mme sentie tante bbè ………. "Sta poesia m'à sfiangato"


AVVISO IMPORTANTE

NELLA BIBLIOTECA SIBILLINA "LA CERQUA SACRA" DI MONTEFORTINO SONO PRESENTI E FRUIBILI LE SEGUENTI OPERE, TUTTE AVENTI ATTINENZA CON IL DIALETTO SIBILLINO:

  1. "Lu ciavattì filosufu" di Doride Santucci Scirè,commedia in tre atti in dialetto Marchigiano, Centro Stampa Piceno - 1981 - Ascoli Piceno;
  2. "La bottega de Pizzòla" di Doride Santucci Scirè, commedia in tre atti in dialetto Marchigiano, Centro Stampa Piceno - 1985 - Ascoli Piceno;  - " 'Rreto 'sta fratta", farsa in un atto;
  3. "GIULIETTO E ROMEA" di Doride Santucci Scirè, commedia in due atti in dialetto Marchigiano, Centro

  4. Stampa Piceno - 1996 - Ascoli Piceno;

  5. "VOCABOLARIO DEL DIALETTO FERMANO", di Luigi Mannocchi, Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo, 1997;
  6. "SUL PARLARE MACERATESE", di Flavio Parrino (a cura di Carlo Babini e Agostino Regnicoli), Edizioni del Gruppo 83, 1996, Macerata;
  7. "NTUNI' E LA SUA TERRA", di Antonio Angelelli, Promozioni Editoriali Cagliari, 1996, due volumi;
  8. " TUTTI VO' DI' LA SO' ", di Luigi Mannocchi, Andrea Livi Editori, Fermo, 1997;
  9. "FIOR D'APPENNINO ED ALTRO", di Enrico Ricciardi, Circolo Cittadino Sarano, 1985;
  10. "ZAMPOGNA APPENNINICA", di Enzo Tavoletti, Edizioni Il Faggio, 1987, Arquata del Tronto;
  11. " Fàmmete dì", di Leandro Papi, Andrea Livi Editore, Fermo, 1998;
  12. "SONETTI MARCHIGIANI", di Vincenzo Belli, Stabilimento Industriale Grafico, Pescara, 1915;

  13. - "APPUNTI ETIMOLOGICI MARCHIGIANI", di Vincenzo Belli, Tipografia
    Agostiniana, Roma, 1921.
PROGRAMMI PER IL FUTURO

L'Associazione Culturale "La Cerqua Sacra" ha intenzione di pubblicare, in futuro (…. molto in futuro), i seguenti libri:

  1. Piccolo Manuale di Cultura Sibillina (detti popolari, ricette, stornelli, filastrocche, ed altro);
  2. Vocabolario del Dialetto Sibillino;

  3. Le Frazioni di Montefortino.

LA VESTE PIU' VERA E GENUINA
DEL NOSTRO PENSIERO
E' IL DIALETTO

(Giuseppe Giusti)


DIALETTO SIBILLINO Novitΰ


Associazione Culturale "LA CERQUA SACRA" - 63047 Montefortino (AP)