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Il padrone: "Signor somaro, venga avanti per favore".
Il somaro: "Sendi quissu comme parla! Che 'ssa'
magnato lu vocabbolariu?
"Quissu nò lo sa che io so mondanaru, cucciutu
e tignusu".
"Io da qui nò mme moo. Io do retta solo a
chi me parla in dialetto e solo "Dialetto Sibillino".
PREFAZIONE
(Dal Libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli,
Pescara, Stabilimento Industriale Grafico, 1915)
Questi sonetti sono stati scritti nel vernacolo di
Amandola, cittadina posta nell'alta valle del Tenna, in faccia al mirabile
gruppo dei Monti Sibillini, dove il dialetto marchigiano, così detto
dell'u finale, ha le sue ultime propaggini verso l'Ascolano.
Il linguaggio semplice e bonario, che rispecchia
l'indole di quella semplice e bonaria gente, non si può svolgere
che nello stretto ambito della vita familiare e locale. Oltrepassando questi
limiti, si cade nell'affettazione e nell'artificio. Il romanesco di G.
G. Belli poté essere anche terribile strumento di satirica politica,
il siciliano di G. Meli e il sardo di S. Satta hanno forme e movenze liriche,
Carlo Porta piegò da par suo il milanese persino a polemiche letterarie.
Ma il dialetto marchigiano, parlato soltanto dagli umili ed eminentemente
rurale, non può trattare, per dirla onc Alfonso Leopardi, che di
"argomenti umili, piani, semplici e preferibilmente locali". L'autore quindi
non ha voluto derogare da questo precetto.
Egli non ha avuto sempre la pudicizia dei
.. per
nascondere le parole men che decenti , poiché questo non è
un libro di propaganda né un testo di lettura per ragazzi. Non ha
potuto evitarle perché esse sono moltissima parte del linguaggio
del volgo, che si è voluto ritrarre dal vero come lo specchio riflette
l'immagine.
Quindi chi può sentirsene scandalizzato,
arricci pure il naso e passi oltre.
***
Il dialetto marchigiano dell'u finale abbraccia la
parte centrale e maggiore della regione, i cui limiti si possono determinare
fra la valle dell'Aso a sud e quella dell'Esino al nord. Ma il distacco
dei dialetti contigui non è certamente netto; infatti, Ancona, Iesi,
e specialmente Falconara partecipano anche dei dialetti gallo-piceni del
Pesarese e, in giù, Porto San Giorgio foneticamente si avvicina
all'Abruzzo.
Questo dialetto, pur risultando unico nei caratteri
fondamentali, sia fonetici che morfologici, varia alquanto non solo da
provincia a provincia, ma anche da paese a paese, da centro abitato a contado,
e persino da persona a persona secondo la condizione sociale e il grado
di istruzione. Ne consegue che le sue caratteristiche mostrano (come ad
un attento esame può rilevarsi anche nella presente raccolta) una
certa incostanza, specialmente fonetica, che non è sempre imputabile
al raccoglitore.
Ad ogni modo va notato, che il dialetto qui trattato
è nella massima parte quello cittadinesco.
***
In quanto alla fonologia e alla riproduzione ortografica adottata, si deve notare che nel marchigiano non esistono che vocali semplici, come nel toscano, e cioè a, i, u, è ed ò aperte, è ed o chiuse.
La s e la z sono sempre sorde.
La s dinanzi ad altra consonante ha suono strisciato: statu si pronuncia quasi sc-tatu.
Con sc si indica la pronunzia strisciata di sì e di cì e gì intervocali, derivanti questi da un s latino: quasci quasi, cascio cascio, fascio'lu fagiolo. Con ssc s'indica il suono spirante palatale toscano sc: quindi lasscio, presscia, ecc.
I nessi chi e ghi hanno suono schiacciato,
a differenza del suono toscano semplicemente gutturale.
Il nesso ghi, dove l'occlusione si fa maggiormente
sentire, è stato riprodotto con
ghj.
Nel marchigiano, come nel meridionale, si nota la tendenza a dare una certa sonorità alle consonanti sorde, in ispecie dopo le nasali n, m; quindi c, p, e t divengono quasi g, b e d, e f s'ode talvolta come b, (1) ma ne differiscono sempre un poco; perciò, anche per semplificazione ortografica, sono state lasciate.
Con l'accento circonflesso si è notato l'allungamento di pronunzia delle vocali interne, dinanzi a fognazione di consonante o risultanti da contrazione, e delle vocali iniziali.
All'intelligenza del lettore, che avrà la pazienza di scorrere questo libro e ancora di più quella di leggerne la prefazione, basteranno queste poche note. Per una più ampia trattazione dell'argomento non è questo il luogo adatto.
Sono stati raggruppati in un glossario gli idiotismi e i vocaboli più oscuri per non rimpinzare di note il testo.
***
Il lettore non si meravigli di non vedere al solito occhieggiare nella copertina di una raccolta di versi dialettali, come la civetta sul mazzuolo, il nome di un illustre buttafuori. L'autore non ha inteso fare un'opera d'arte, che dovesse raccomandare alle cure di un aio autorevole, ma. per quanto lo comportassero le sue forze, dare per la prima volta un saggio senza pretese e senza fronzoli di uno schietto ramo delle parlate marchigiane, assai degne di studio, per quanto trascurate o quasi dai glottologi.
I maligni potranno osservare che il saggio sarebbe forse meglio riuscito scrivendo in prosa e risparmiandosi la fatica di ponzar sulle rime. L'autore è pronto ad accettar di buon animo il consiglio per l'avvenire, se gli verrà dato da chi ne abbia autorità e competenza.
Roma, gennaio 1915.
Nota dell'Associazione Culturale "La Cerqua Sacra"
di Montefortino.
Il dialetto di Montefortino, da tutti chiamato
"Dialetto Sibillino" differisce da quello di Amandola solo per una parola:
NEVICA.
In Amandola si dice "negne" mentre a Montefortino
si dice "nengue".
Negne,
lu gattu fa le legne
lu ca' le porta a venne
ce compra le cazole
se le mette quanno pioe.
Le parole che caratterizzano il "Dialetto Sibillino"
sono: quanno quando, quando quanto, jemmete greppo,
unn'itu un dito, fratutu tuo fratello, face falce
e tutte quelle che finiscono con la u (sverdu svelto, tundu
tonto, fungu fungo, fargu falco, terrenu terreno,
pipiru
peperoni, cucciutu cocciuto, tignusu, tignoso, mondagnolu
montagnolo, 'n'gorbu un colpo, cappottu cappotto, ecc.)
LA DIVUZIO' DE LA JENTE
(Dal libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli)
Conta co' mme: quarantasei capù,
nove polanche, sette agnelli vii,
'na montagna de cascio ata ccuscì,
jeci canestre d'oe, trenta picciù
E te cridi che basta? Ai vojja tu!
Lonze, salami, frutti, tre bbarrì
de quello probbio che se chiama vì,
e 'n frecu de ciammelle per de più.
Ebbè, tutta sta robba per magnà
ce l'à 'uta sta pasqua donn-Antò
pé rregalu da tutti sti villà.
Eppò se lagna! eppò vò di
dde no!
Eppò tutti sti preti sta a strillà
che mo' non ci sta più divuzio'!
Il libro "Sonetti Marchigiani" di Vincenzo Belli
(Pescara, Stabilimento Industriale Grafico, 1915) è presente, in
copia, presso la Biblioteca Sibillina "La Cerqua Sacra" di Montefortino.
DORIDE SANTUCCI SCIRE'
Doride Santucci Scirè,
nata a Sant'Angelo in Pontano (MC), vive da molti anni ad Amandola (AP)
dove ha svolto e svolge tuttora un'intensa attività teatrale come
autrice e come regista del gruppo "Un teatro per le Marche".
"Le sue opere sono state accolte
con grande favore, hanno avuto numerosissime rappresentazioni e sono entrate
nel repertorio di molte compagnie marchigiane, ottenendo ovunque convinti
consensi del pubblico ed apprezzamenti della critica anche ai più
alti livelli accademici. La fama ha superato i confini nazionali, come
testimonia la richiesta di copie dall'Università statunitense di
Harward. Il successo è da ritrovare nelle novità che l'autrice
introduce nel teatro marchigiano, innalzandone il livello verso una produzione
nella quale il nostro "particulare" regionale assume i caratteri di un
"sentire" di ben più ampio respiro. La "commedia" di questa autrice,
infatti, assume i caratteri della rappresentazione del profondo di ognuno,
dell'universale soffrire, gioire, amare, sperare".
Prof. Bruno Egidi
Le seguenti opere, gentilmente donate dall'autrice, sono presenti nella Biblioteca Sibillina "La Cerqua Sacra" di Montefortino:
- " 'Rreto 'sta fratta",
farsa in un atto;
Stampa Piceno - 1996 - Ascoli Piceno;
Il somaro: "De Peppe e Mario sotto la cerqua sapete cosa"?
SOTTO LA CERQUA
(Tando pe passà tembu)
Peppe: Oh Mario raccondeme 'mbò de quanno lu sorrece, scappatu da lu jemmete, muccicò unn'itu a fratutu.
Mario: Oh Pè, lascia perde, ma che vai a smuscinà? Piuttosto dimme nbo na cosa, ma tu li si sinditi mai minduà ssì UMRU?
Peppe: Mo chi gorbu è ssì limani? Co tutte 'ste cose noe non ce se capisce più ccosa.
Mario: Ma quisti mica è noi, ce stava prima de li preti.
Peppe: E quanno Madonna ce stati? Li preti c'è stati sembre. Nisciù je la fatta a sdemettili.
Mario: L'UMRU, è li Celti, è quilli che ha dato lu nome all'Umbria.
Peppe: Beh! A nuatri che ce ne freca?
Mario: Ce ne freca, perché quissi è passati su ppe' le mondagne, su llà strade che 'na ote facìa quilli de Montefurtì pe gghj' in Umbria, e po è rriati qui su le parti nostre.
Peppe: Io no l'ò visti mai, però saccio che quilli de Montefurtì tira la voccia e coje lu pallì.
Mario: Oh Pè lascia perde co ssà cazzata de Montefurtì. Piuttosto l'Ambru lu cunusci?
Peppe: Eh! n'accidende. Ce so statu pure domennaca a magnà li lupì de Ciccandò.
Mario: L'Ambru se chiama cuscì perché prima de la Madonna ce stava ssì limani.
AMBRU - UMRU - UMBRU non te dice cosa?
Peppe: Ma sarrà 'n casu. Che ce sai da do vè li nomi?
Mario: Oh!? Ma tu sì cocciò sa!? Marte lo sai chi era?
Peppe: Ah Romolé?! Che me fai cuscì stùputu? Marte era il "Dio della Guerra de li Romani".
Mario: Lo vidi quando sì somaru!
Peppe: Lascia sta lu somaru eh!? Se me devi dì che non capiscio cosa, dimme gnorandò.
Mario: Gnorandò, Marte era un Dio celtico, li Romani dopo se l'à frecatu.
Peppe: Beh! Marte che c' endra?
Mario: Non te dice cosa Col Martese, Cambu de Marte, S. Maria de Marte, S. Giovanni de Marte, Martelletta?
Peppe: Ngorbu! Vurristi di che c'è stati quissi?
Mario: C'è stati scì. E po le Madonne de la Cerqua de Montefurtì, d'Amandola e quella che sta su vicino Norcia, è sembre robba de quissi. Quissi java sopre le cerque a coje lo vischio.
Peppe: Pe cchiappà li cillitti?!
Mario: Ma che cillitti! Ce facìa na medicina, che era comme l'acqua de Lurde, facìa guarì tutte le malatie. No lu sì vistu mai Asterix su la televisiò?
Peppe: Quesso che me dici me scappa tutto de 'n fiangu. Pe' furtuna che non'è vinuti a Cumunanza!
Mario: C'è vinuti, c'è vinuti. No li visto che ce sta su llà casa de llà de lu ponte? Ce sta lu picchiu disegnatu su na pietra.
Peppe: Beh! Lu picchiu che vordì? Ce ne sta tanti in giru de celli.
Mario: Lu picchiu, mica era un veccacciò, lu picchiu era "Il Dio Picus", la religiò de ssì UMRU.
Peppe: So rmastu senza parole. Io de sse fregne 'n sapìo cosa. Però tande ote ci'aìo penzato a llu picchiu che sta su lu stemma de la Regione. Ogni ote che lu vidìo, tra me e me, me chidìo: Ma che vordì llu picchiu?
Mario: Vordì, Vordì Ma mò Pè , dimme nbò n'atra cosa. Do sì statu a piandà Maggiu?
Peppe: Mario miu, te lo devo proprio dì. Quist'anno sò fatto na piandata che me vasta pé 'n bar d'anni.
Mario: Lo sai perché se dice "Piandà Maggiu"?
Peppe: Che me ne freca. Vasta che se pianda. Comungue lo dicìa sempre nonnu.
Mario: Se dice cuscì perché sempre quissi UMRU, a Maggiu, facia na festa grossa e appena se facìa notte piandava Maggiu tutti, anzi "rmittìa" perché quissi la festa la chiamava "RMITTI MAGGIU".
Peppe: Lo sai che ogghj co quissi mi si ffatto vinì 'n dubbiu.
Mario: Quale?
Peppe: Me pare che a nuatri a scola ci'à mbarato tutto lo condrario.
Mario: Oh Pè te veco moccò stranu. Vulìmo fa quello che simo fatto jeri a quest'ora?
Peppe e Mario: Jimece a beve 'n vicchiere de vì cotto, tando lu stradellu sta fattu.
Mario: E dopo jimo a vedè le partite de Gaetà.
Peppe: Sci, sci, anche se non'è Maggiu, che ce sai, tante ote se po anche rimedià.
Mario: Sci, sci, pé sse stangone dell'Este non'è mai peccatu. Mica ci'à lu Papa quesse!!
Peppe: Te le so raccondato dell'atr'anno,
Mario: Oh! Pè? Sarrà mejo che
me lo raccondi de matina.
(per coloro che non conoscono il dialetto sibillino) |
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mbò | un po |
de quanno | di quando |
lu sorrece | il sorce |
da lu jemmete | dal greppo, dalla scarpata |
unn'itu | un dito |
a fratutu | a tuo fratello |
ma tu li si sinditi mai mintuà ssì | ma tu l'hai mai sentiti nominare codesti |
ssì limani | codesti animali |
nisciù je la fatta a sdemettili | nessuno ce la fatta a dismetterli |
su llà strade | su quella strada |
che 'na ote | che una volta |
però saccio | però so |
coje lu pallì | coglie il pallino |
co ssà cazzata | con codesta cazzata |
domennaca | domenica |
a magnà li lupì | a mangiare i lupini, le fusaie |
cuscì stuputu | così stupido |
lo vidi quando sì | lo vedi quanto sei |
se l'à frecatu | se lo hanno fregato |
ngorbu | un colpo |
quissi java sopre le cerque | costoro andavano sopra le querce |
a coje lo vischio | a cogliere il vischio |
pe cchiappà li cillitti | per acchiappare gli uccellini
(cellu - cillittu - cella - celletta - cellacchiò) |
l'acqua de Lurde | l'acqua di Lourdes |
no lu sì vistu mai | non l'hai visto mai |
de 'n fiangu | da un fianco |
su llà casa de llà de lu ponte | su quella casa di la dal ponte |
ce ne sta tanti in giro de celli | ce ne sono tanti in giro
di uccelli
(con malizioso riferimento al sesso) |
so rmastu | sono rimasto |
io de sse fregne non sapìo cosa | io di codeste questioni non
sapevo nulla
(fregna frignittu !?) |
tande ote ci'aìo penzato a llu picchiu | tante volte ci avevo pensato a quel picchio |
ogni ote che lu vidìo | ogni volta che lo vedevo |
do sì statu a piandà Maggiu | dove sei stato a piantare Maggio |
quist'anno me so fatto | quest'anno ho fatto |
me vasta pe 'n bar d'anni | mi basta per un paio di anni |
rmittìa | rimettevano (rimettere in garage) |
ogghj co quissi mi si fatto vinì | oggi con costoro m'hai fatto venire |
me pare che a nuatri | mi sembra che a noi |
te veco moccò stranu | ti vedo un po strano |
'n vicchiere de vì cotto | un bicchiere di vino cotto |
lu stradellu sta fattu | il sentiero sta fatto |
jimo a vedè | andiamo a vedere |
mica ci'à lu Papa | mica hanno il Papa |
te le so raccondato dell'atr'anno | te lo raccontato dell'altro anno |
sarrà mejo | sarà meglio |
by "La Cerqua Sacra" (non ci sono diritti riservati)
Guardéte - Guardate
Guardète - Guardavate
Guàrdete - Guardati
"Oh!? C'è unu a Macerata c'ha scritto 'na poesia su lu somaru. Se chiama Giordano De Angelis e scrive in dialetto maceratese.
LU PRISIDENDE
- Io vaco in ferie - desse lu leò.
- E ssò' preoccupatu, perché
qui
senza 'na guida e 'n'organizzazzio'
c'è rischju che succeda
un gran casì.
Vaco, per un misittu, jò
lu mare;
e, a postu mia u' mmoccò'
cià da sta' quillu
che non ve fa fa' quello che ve
pare.
Solo ccuscì io pozzo sta'
tranguillu.
Indando , se ce sta 'che candidatu,
lo pòle di'. Se po fa pure
avandi.
Jé garandiscio che verà
'scordatu
e elettu, se sta vène a
tutti quandi.
Parlò lu gufu: sùbbito
scartatu.
Se fece avandi l'quila reale.
Lu lupu ce proò co' 'n ululatu.
Se candidò, perfino du'
cicale.
Finghé a la fine, se sindì
'na voce:
- Per carità
non è
per famme véllu
Ma, visto che 'ssa fava non se
còce
se me volete
- Adèra un
somaréllu.
D'istindu capì tutti ch'era
adattu.
Unu che non capisce pròbbio
gnènde.
La volpe fecel'ucchjulì'
a lu gattu
Lu somaru fu elettu prìsidende.
Il somaro: "Quande ne duimo sopportà
."
Ogghj ve vojo recità 'na poesia de 'Ntunì de Tavarrò, una che me stà proprio a core perché parla de la sagra de le cucciole, quella che se fa tutti l'anni, d'agosto, a Montefurtì.
LA SACRA DE LE CUCCIOLE
(Dal libro 'Ntunì de Tavarrò - Le poesie - Adriatica Editrice Ancona - 1991)
Ormà che s'è cambiato
tutto quanto
a paragò de prima è
'na cuccagna;
prima era sacro quello ch'era santo
mo' pare sacro quello se se magna.
Tu guarda li paesi, quasci tutti
de fa la sacra cià misto
l'usanza;
o co' le scroccafuse, o de prisutti
basta che penza pe' rimpì
la panza.
C'è quilli che la fa co'
li gelati,
de pescio, de porchette, de vrasciole,
Montefurtì ch'è meno
sciuperati
de l'atri, jé la fa co'
le cucciole.
Dice ch'è bone, però
non ce credo,
for de la coccia se po' magnà
tutto,
ma lì la testa, quanno che
le vedo,
jé scappa su 'n zoché
che me fa vrutto.
Mojama d'ogni tanto va 'n campagna
e quasci sempre me le raccapezza;
dirrà: che poi sapé,
se se le magna
po esse pure che me ce se 'vvezza.
Fino che no' lo sai, bè,
pacienza,
pare che chi lo sa quello che vale,
ma s'unu se ne 'ccorghie, che ce
penza,
ad'è 'na cosa che se gnotte
male.
Tu 'rpenzi sempre quelle loco 'nanti
e te fa senzu che non ce se crede
Sarrà perché d'è
comme dice tanti,
che li difetti nostri non se 'rvede.
Sennò per comme lascia la
passata,
per comme se strascina le casette
e per prudenza su la camminata,ì
che scia 'na cosa sacra, se po'
ammette.
Però, le corne, a me me pare
strano
,
per via che a tutti piaceria d'avelle,
se se putìa sapé
che, piano piano,
ce diventava sacre pure quelle.
Indando la cerqua è sacra e ce sta pure 'na poesia che s'entitola "Janna, Janna" , che in italiano significa "Ghianda, Ghianda".
JANNA, JANNA
Ninu, ninu,
janna, janna,
lu cortellu che te scanna
l'acqua calla che te pela
lu zampittu pe' sta sera.
"A Cumunanza ce sta lu cunfine, de qua de lu fiume parla comme nuatri, de llà non ce se capisce cosa. Sentete 'n po' comme scrive Middio de Mena.
LU FORESTIERU
Era na dumenneca mmatina
parìa che ne mme sentie tante bbè,
sotto le piante a ssedé su na panchina,
passò n'amicu e me vose uffrì ncaffè.
Adera meje che nen c'ere jitu
ntiziu la lu barre nen parlava a versu,
quelle che vulìa ne lu so capitu,
cuscì lu caffè me jette de traversu.
A voce ata e con arroganza
parecchie cose ècche ne gne java
dicìa male de Cummunanza
s'era per issu a stu paese jé sputava.
Dope de stu fattu ie me so nfurmatu,
faticava che na fabbrica qui a ttunnu,
a Cummunanza s'era sistematu
adera risolte li problemi de stu munnu.
Ciavìa l'alfa, la moto e la panda
un forestieru che duvìa sta propriu contentu
nen ciuccurrìa de fa sta propaganda
s'era cumbrate nbellu appartamentu.
Ie so cummunanzese e me ne vante
però se ditte sempre e risaputa,
a stu furestieru jè ne vurrie dì
tante
che su lu piattu ddo' se magna nce sse sputa.
Middio de Mena
.. parìa che ne mme sentie tante bbè
. "Sta poesia
m'à sfiangato"
AVVISO IMPORTANTE
NELLA BIBLIOTECA SIBILLINA "LA CERQUA SACRA" DI MONTEFORTINO SONO PRESENTI E FRUIBILI LE SEGUENTI OPERE, TUTTE AVENTI ATTINENZA CON IL DIALETTO SIBILLINO:
Stampa Piceno - 1996 - Ascoli Piceno;
- "FEFE' MIU ", scenetta;
- "LE CARE AMICHE", atto unico;
- "TEMPI DE JERI", scenetta;
- "TEMPI DE OGGHI", scenetta;
L'Associazione Culturale "La Cerqua Sacra" ha intenzione di pubblicare, in futuro ( . molto in futuro), i seguenti libri:
Le Frazioni di Montefortino.
(Giuseppe Giusti)