IO DIFENDO (CECCO D’ASCOLI)

di Bruno Cassinelli

-        Corbaccio – dall’Oglio, editore – Milano

 

 

 

Bruno Cassinelli

 

IO DIFENDO

 

Terza Edizione

 

 

PER MESSER FRANCESCO STABILI

DETTO CECCO D’ASCOLI

 

 

COSI’  COME L’AVREI DIFESO

NELL’ANNO DI GRAZIA 1327

 

 

 

Eccellentissimo signor Inquisitore di Firenze,
Cecco d’Ascoli, medico e astrologo ascolano,
Maestro nell’alta Università di Bologna, è com-
parso dinanzi a voi; e se di stregoneria e di ma-
gia cattiva voi volete colpirlo, io non saprò come
difenderlo, perché l’accusa vale: morte, data la
fede nostra religiosa cristiana e il timor nostro e
l’odio per i diavoli e le potenze nere dell’infer-
no. Ma, Eccellentissimo Accursio, io vorrei pre-
garvi di permettermi parole non di grazia ma di
ragione; e noi vedremo assieme qualmente Cecco
trattò con la sua sapienza le stelle e i cicli, e la
loro influenza sui destini degli uomini; e se in
questa sapienza vi fosse diabolica malvagità e
ispirazione demoniaca, o invece solamente scien-
za medica e sapere eccessivo di testi arabi e greci.

Di una cosa però io e Cecco ci lamentiamo: e
cioè che l’illustrissimo signor Duca Carlo di Ca-
labria, primogenito di Re Roberto, conduca con-
tro di noi tutto il peso del suo potere terreno

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IO DIFENDO

su voi tenti pesare con la forza, e sul vostro giu-
dizio con l'inganno e il sopruso. Monsignore il
Duca Carlo, che ebbe Maestro Cecco come suo
medico, divenne di questi nemico allorché l'oro-
scopo su Giovanna, figlia di Monsignor Duca,
suonò infausto alle sue orecchie di padre. Ora

io dico — Eccellentissimo Inquisitore — che se
l'astrologia è un male, male compiono servo e
padrone, colui che sonda gli astri e quegli che
ordina il pronostico, colui che legge e quello che
ascolta. E noi non pensiamo che la scienza sugli
astri sia verace e divina soltanto se al padrone dica
e confermi gloria e ricchezze e trionfi; e infida
e demoniaca se minaccia dolore, morte, pochezza
in vita. Se l'astrologo è un mostro avvinto alle
tenebrose potenze diaboliche, colui che ne ascol-
ta le sentenze, dolci o amare, belle o brutte che
siano, è egualmente colpevole, se non di più.

Eccellentissimo Accursio, voi grondate troppo
di sapienza giuridica per non trarre la norma che

il male, allorché è compiuto, è egualmente male
per chi manifestamente lo ha fatto e per chi lo
ha ispirato e istigato. Non può esservi divergenza
di responsabilità, ne attenuazione di responsabilità
per l'uno e aggravamento per l'altro. Ora, signor

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CECCO D'ASCOLl

Inquisitore, c'è un tutto più unito e saldo di chi
parla e di chi ascolta credendo? C'è amalgama
migliore del sacerdote che celebra e del credente
che adora? E non è qui l'identico caso, anche se
la potenza suprema è demoniaca e non divina?
Epperciò io chiedo che Monsignor Duca Carlo
di Calabria compaia dinanzi a voi, Inquisitore, a
dirvi e a dirci perché Maestro Cecco fosse stato
suo stipendiato medico e astrologo, perché cre-
desse agli oroscopi tratti, perché ordinasse a Cec-
co di pronosticare su Madonna Giovanna sua fi-
glia. Ma sopratutto. Eccellentissimo, vogliate
domandare a Sua Altezza il Duca il motivo del-
l'odio suo per Cecco: se l'oroscopo fosse stato di
somma virtù e non di libidine e lussuria, il Du-
ca sarebbe divenuto egualmente nemico di Mes-
ser Francesco Stabili ascolano?

Se mi permettete, questo che io ho sollevato
è l'incidente pregiudiziale della difesa. Se ho ben
capito voi rifiutate l'incriminazione del complice
principale di Maestro Cecco, ispiratore e motore
di questo processo. La difesa desidera che questo
vostro rifiuto, non motivato che da un secco
scuoter del capo e dal tremito della vostra cocol-

 

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IO   DIFENDO

la, Inquisitore Accursio, venga annotato nei ver-
bali.

Prima ancora che io discuta le accuse specifi-
che, e dato che in questo tribunale ecclesiastico
si sa perfettamente di teologia e filosofia, frate
Accursio, mi permetto una deviazione filosofica,
sempre nell’orbita permessa a noi cristiani.

L’astrologia, compresa quella giudiziaria, è di-
venuta una realtà scientifica. Perché? Nell'osser-
vare gli astri, in questo sondare il cielo, non ac-
compagnato da sacrifici e preghiere alle potenze
demoniache (cosi come suol dirsi facciano ido-
latri, pagani e stregoni) non c'è che la volontà
di capire se la nascita di un uomo in un deter-
minato momento non subisca di questo momen-
to disagi, difetti e virtù.

La estate è tutta contraria allo inverno, Ec-
cellentissimo; e sembrerebbe ovvio che l’uomo
nato in un mese sia diverso da quello nato in
un altro, appunto perché nella gestazione che la
madre fa del figlio, le contrastanti forze del-
la natura lottano per imporre il loro suggello;

ma solo una, chiamata per motivi di spazio e

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CECCO D'ASCOLl

di tempo, su tutte, segna il proprio carattere.
Ora questo è divino, frate; perché se e vero che
Iddio creò il mondo tutto in giorni sei per ri-
posare il settimo» non è men vero che tutto nel
mondo fu un crescere dal piccolo al grande e un
decrescere dal grande al piccolo, e che anche nel-
la gerarchia c'è interdipendenza fra l'umile e il
superbo, si che tutte le cose pur non essendo
eguali non sono dissimili per il Dio. Io vi dico,
Inquisitore, che la vita del piccolo è determinata
dalla volontà del grande, e tutto vive nell'occhio
e nel cuore di Dio. Se tutte le cose nascono sotto
il potere di una cosa più grande, perché questa
è la fonte dell'equilibrio, anche l'uomo, la crea-
tura migliore, ha dovuto svilupparsi sotto l'im-
perio di una forza maggiore. Su di lui non pos-
sono far presa che le immense forze della natu-
ra; di origine matematica, nell'arte del numero,
come disse il miscredente ma pietoso greco Pita-
gora. In questo gran mistero divino, a noi ignoto,
Cecco — applicando antiche leggi caldee, assire,
greche, egiziane, arabe, ebraiche, onorando Iddio
che aveva dato alle anime e ai corpi la malattia
e la guarigione, la vita e la morte, il pianto e il
sorriso — non defraudava le grandi Leggi, ma

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IO       DIFENDO

le venerava volendo conoscerle. Se studiare le
stelle, Eccellentissimo, fosse magia, noi della ve-
ra fede mai dovremmo, in mare, lasciarci guida-
re dalla stella lucente; i Magi Re raggiunsero la
Santità di Nostro Signore Gesù sondando la
stella; Giovanni, nell'Apocalisse, indica la No-
stra Signora Maria con un manto di stelle.  E se
le stelle sono divine, se dal Cielo piovve per qua-
rant'anni al Popolo Eletto nel deserto la manna
angelica, se dal Cielo venne la colomba annun-
ciatrice, come poter pensare che Maestro Cecco,
sapiente di coltura greca e latina, credente come
noi nel verbo e nel Figlio dell'Uomo, tentasse
estrarne il venefico sacrilegio infernale?

Eccellentissimo Inquisitore, ho domandato a
voi l'incriminazione di Monsignor Duca perché
egli stesso, difendendosi, avrebbe difeso Messer
Francesco. Non desidero rivelarvi nulla di nuovo
se la difesa, confutando la taccia di sacrilegio alla
scienza astrologica, contava sulla perplessa inef-
ficienza delle leggi imperiali e religiose nei con-
fronti dell'astrologo. II nostro Sommo Pontefice,
nel suo passato e forse nel suo avvenire, si è ser-

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CECCO D'ASCOLl

vito e si servirà dell'astrologia: Giovanni XII, pur
restringendo il diritto del laico alla coltura, cre-
deva, e voi ben lo sapete, alla scienza astrologica.
Non un Signore dei diversi reami della Terra
rifugge dal sapere il suo proprio destino. Meglio
ancora: Gioacchino da Fiore, senza l'ausilio di
stelle, senza l'arte matematica dei numeri, non
ha forse predetto alla nostra Fede aurore e tra-
vagli, e — mi si consenta — il Papa non lo ha
forse protetto e ascoltato?

L'Eccellentissimo Accursio, frate inquisitore,
non può non sapere che per compiere sacrilegio
contro la nostra Fede, per fare opera di strego-
neria, sono necessari credenza e abbandono nel
Diavolo, suppliche e preghiere a lui, sacrificio
umano, di sangue, per attirarlo in nostro aiuto,
vendita a lui dell'anima nostra, sprezzo e odio
per la nostra religione. Disonorevole e carnale vi-
ta, predominio sul bene, conoscere cose non co-
nosciute, desolazione demoniaca nello spirito, fre-
nesia nel corpo e magra e angosciosa potenza, ne
sono le conseguenze. Lo stregone, abbandonato
dal diavolo appena preso dalla giustizia, trema
e confessa,

Frate, Cecco ha negato e nega; frate. Maestro

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IO   DIFENDO

Cecco non ha confessato; frate, Messer France-
sco fino alla presa del suo corpo per gli uomini
della giustizia, da voi richiesti, ha avuto una lo-
devole e onorata vita». Nella cella, egli ha conti-
nuato a comporre poeticamente. La difesa insi-
ste sull'atteggiamento pre e post-processuale del
suo difeso. Voi lo avete udito rispondere alle
accuse: « L'ho detto, l'ho insegnato, e lo cre-
do ».  E vediamo che cosa egli abbia mai detto,
insegnato e creduto,

Penso che la stolta accusa di sacrilegio a Mae-
stro Cecco sia stata da me diroccata. In rapporto
a ciò, le imputazioni riguardanti la predizione
di Messer Francesco su l'incoronazione e la mor-
te di Ludovico il Bavaro, la sua credenza non cie-
ca nell’astrologia giudiziaria, sono assorbite e an-
nullate. Ed io abbandono a voi, al vostro chia-
rissimo intelletto, frate Accursio, il primo pas-
saggio della difesa, il quale investe tutto il pro-
blema dell'astrologia nei riguardi di nostra santa
religione. Per mio conto, in Maestro Cecco, più
che mancanza di volontà di offendere e vilipen-
dere la nostra cattolica religione, c'è la innocenza
di aver agito in buona fede.

E passo. Eccellentissimo, ad un'altra accusa di

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CECCO D'ASCOLI

questa più grave anche se intimamente connes-
savi,

Astrologicamente, Maestro Cecco fissa la vita
e la morte di Nostro Signore Gesù con i seguenti
tratteggi zodiacali: alta la Libbra nel decimo
grado. Egli doveva cosi morire; il Capricorno in
angolo con la Terra, segno di nascita nella stal-
la; lo Scorpione in grado secondo, povertà gran-
de; Mercurio in Gemini, nella parte nona del cie-
lo,  prova di scienza. Questo il testo incriminato
e sacrilego, che voi, frate, interpretate come vo-
lontà demoniaca di Cecco, intesa a dimostrare
che Nostro Signore il Cristo fu uomo e non Dio;

perché Dio, massima delle gerarchie, non può es-
sere sotto l'impronta di nessuna cosa più grande.
Ma io dico che se l'influenza degli astri sugli uo-
mini è una legge divina, neanche Iddio può vio-
larla, allorché, scientemente e volontariamente
incarnatosi come Uomo, Egli diviene sua stessa
cellula. Può, frate Accursio, il legislatore esser
salvo e libero dalle sue proprie leggi? Può egli
eluderle, se non a patto di renderle effimere e
inefficienti? Ogni essere mortale è sotto il segno
di una cosa più grande, abbiamo convenuto; e il
Figlio dell'Uomo, per rendere accessibile la sua

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IO   DIFENDO

infinita Grandezza a noi mortali, si fece come noi
di carne e come noi soggetto ai dolori cosmici
della vita.

Fattosi carne, il Figlio dell'Uomo non poteva
far sostare tutte le immense leggi del mondo:

Egli, divenuto nato (Egli, che non nasce mai!), è
nella meccanica della vita fisica e astrale come
ogni uomo. Non potrebbe esser fuori e libero dal-
la Legge, perché allora non uomo sarebbe stato,
ma Iddio, con i suoi attributi di inalterabilità. Ma
Nostro Signore Gesù, venuto fra noi uomini,
Uomo voleva e doveva essere: mori sulla Croce
e gemette il suo dolore. È naturale dunque che
gli astri si movessero in cielo cosi come sem-
pre. La sola cosa che Maestro Cecco non dis-
se, perché pensava che tosse sottintesa, è che il
Figlio dell'Uomo, a differenza di noi, prescelse
il suo destino; e per essere come fu, Egli che po-
teva e sapeva, attese che la Libbra fosse alta nel
decimo grado, il Capricorno in angolo con la Ter-
ra, lo Scorpione in grado secondo e Mercurio fos-
se in Gemini, nella zona nona del ciclo. Questo
perché Egli volle incontrare gli uomini da povero
e non da ricco, perché alla reggia preferì la grot-

 

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CECCO D'ASCOLl

ta, perché desiderò morire con dolore invece che
dolcemente.

L'interpretazione zodiacale della Missione del
divin Salvatore, cosi come la costruì Maestro
Cecco, è dunque l'adorazione alla nostra Fede
compiuta con lingua sapiente invece che con lin-
guaggio volgare. Ed io posso indicarvi che l'oro -
scopo astrologico di Nostro Signore il Cristo è
stato solamente confermato da Cecco, e non da
lui per primo tratto. In Europa e nei Turchi, in
Africa e in Asia, il testo della predizione è noto.
Astrologhi cristiani e pagani hanno letto nelle
stelle, e un giorno voi, Inquisitore, saprete che
Alberto Magno lo ha riportato nelle sue opere,
lui, il magnifico e cristiano dottore.

Ma adesso, Eccellentissimo Inquisitore, voglio
ricordarvi che le accuse di oggi non sono che il
seguito di quelle che a Bologna frate Lamberto
da Cingoli, minore, elevò or sono tre anni. Non
si parlò di morte, allora; ma di una confessione
generale, di trenta paternostri e trenta avemmarie
ogni giórno, di digiuno in ogni sabato per un an-
no, di ascoltar predica la domenica nella chiesa
dei predicatori. La sentenza ordinò il sequestro dei
libri di astrologia, e vietò a Cecco di leggere e di

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IO DIFENDO

studiare gli astri in Bologna. La condanna fu di
pagare settanta libbre bolognesi e la sospensione
dall'insegnamento a tempo indeterminato. È ov-
vio che frate Lamberto da Cingoli — a voi, In-
quisitore Accursio, non inferiore per severità —
non aveva riscontrato in Maestro Cecco che in-
disciplina e non certo eresia. Infatti nel 1325 al
mio difeso fu concesso di riprendere l'insegna-
mento pubblico. Ora noi teniamo per fermo che
la sentenza di Bologna, giusta e precisa, non pós-
sa esser riveduta e inasprita da un giudice eguale
a quello primo. Fatti nuovi non ve ne sono, a
quanto appare, se non che il Duca di Calabria ha
Corte in Fiorenza e che voi, frate, a Fiorenza siete
Inquisitore, e che Monsignore Duca Carlo odia
Maestro Cecco. Io dico: chi impedirà ai posteri
di ritenere, o Accursio, che il vostro potere in-
quisitorio ha servito lo sdegno del principe? È
soltanto l'eccezionalità del giudizio e del Tribu-
nale, Eccellentissimo, ciò che m'impedisce di in-
vocare un diverso giudice e una diversa sede.

 

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CECCO D'ASCOLl

Vi ho parlato fino adesso di religione e non di
scienza, di legge e non di poesia. Di tutte le fon-
ti che Maestro Cecco cita a sostegno del suo com-
mento alla Sfera del Sacrobosco o ai Princìpi
astrologici
dell’Albabizio. L’accusa non ne ha con-
trollata una; si che in Cecco verrebbero condan-
nati, ad esempio, Platone e Socrate, Aristotile e
Plinio, Eliano e Alberto Magno, filosofi permes-
si dalla nostra civiltà cristiana. Questo è assurdo
e ingiusto per Cecco e per voi che dovete giudi-
care onestamente e onorevolmente. Ricordiamo
l'Acerba,  quel poema che voi avete in animo di
far bruciare sul rogo. Ascoltate, frate:

 

«Che speso ho il tempo di mia poca vita
in acquistarmi scienza e onore
ed in seguire altrui con l’alma unita
non per ricchezza a povertà di cuore.
E poco vale a chi conosce poco
».

Non sono versi da nulla, questi, e vi balenano
grandezza di cuore e di mente, e non il demo-
niaco dispregio per il bene di cui voi accusate.
Sopra i motivi del processo stesso, io vi mostro

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IO   DIFENDO

ciò che in Maestro Cecco voi non vedete: il ge-
nio stesso della poesia, il profondo sospiro canoro
della razza nostra, intento a render tutto armo-
nioso, tutto bello. Un genio della poesia troppo
tuffato in professorali elementi di speculativa ri-
cerca scientifica, ma, comunque, traboccante e
grande. Voi volete, Accursio, che il poema del-
l'Ascolano muoia, cosi come fosse di carne vota-
ta al sacrilego abbraccio, assieme, del demonio e
del rogo...

Ma se Cecco è fatto di sangue, la sua poesia
è spirito; i fogli bruciano e si contorcono, ma la
bellezza, anche se contraffatta, è immortale. E
di Cecco io difendo non solamente la purità e
la scienza, ma ciò che voi non sentite: difendo
gli uomini che avrebbero potuto e non riusciro-
no a vincere; difendo le forze originarie che
non riuscirono a solidificarsi e a mostrarsi pie-
namente. Voi non capite? Io vi parlo, con la lin-
gua e l'anima di Cecco, un linguaggio da postero.
Vi parlo il linguaggio degli Uomini che furono
impediti dalle leggi e dall'epoca — dalla inten-
sità del loro stesso spirito — ad esser umanamen-
te completi.

Vorrei farvi, frate, l'elogio del poeta che non

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CECCO D'ASCOLl

giunge, per incapacità musicale, ad esser sempre
grande; l’apologia delle filosofie che non soprav-
vivono perché il loro creatore è fuori del tempo;

l'esaltazione di chi fallisce nella vita materiale e
morale perché troppe verità ideali, proprie, gli
impongono di vivere se stesso e di non piegarsi.

Cecco ascolano è fuori del tempo suo nello
stesso modo con il quale voi, Eccellentissimo, e
Monsignor Duca, vi siete troppo dentro.

Se escludete i contingenti reati di sacrilegio e
di perversione demoniaca, che io credo di aver
dimostrati irrilevanti, voi di Cecco nulla potete
capire. Ascoltate, frate:

« Ogni natura è creata al fine
lo qual per l’alma è in questo mondo
ma quando vederà lo suo fattore
di vista a vista con l’altre divine
sentirà pace deIl’eterno amore
».

L’Acerba,  il massimo poema di Messer Fran-
cesco, è scienza in versi, cosi mostrata al volgo per
attirarlo alla verità. E difenderlo m'è caro, sia
pure che la sua sapienza sembri imbrigliare la
poesia : ciò basta perché in Cecco io possa difen-

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IO      DIFENDO

dere anche il poeta nascosto; quello, cioè, che se
voi lo conservate in vita, sorgerà e vincerà.

Se Cecco dice di Aristotile, ecco, frate, voi lo
vedete e lo sentite rigido, e la sua musica poetica
è già decaduta; ma appena egli si trasporta nel
più eletto campo dell'ardore platonico, la poesia
erompe e divien leggera. Cecco è un poeta che ha
solamente bisogno di vivere ancora perché diven-
ga grande.

E qui voglio dirvi, frate, che l’inimicizia di
.Cecco per l’Alighieri non è di origine poetica, ma
scientifica e politica. Or dunque non è il fiorenti-
no un uomo come tutti noi, per il quale si può
portare amore o antipatia, secondo i gusti? I po-
steri daranno un lor giudizio sulla contesa, ma
noi contemporanei diamo il nostro con diritto
pieno. Nel lungo e lontano viaggio infernale e
paradisiaco dell'Alighieri, il mondo visibile e in-
visibile è fatto e distrutto a piacer suo; cosa di cui
qualcuno può risentirsi, se toccato.

E perché gli astrologhi debbono bruciare? E
perché gli amici loro debbono soffrire mentre i
nemici godere? Ed è giusto che ciò che Dante dis-
se sulla fisica del mondo e sulle idee degli uomi-
ni presenti e passati, debba significarsi per forza

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CECCO D'ASCOLl

vero? Questo, Cecco volle contestare; e fu con-
trasto fra i sapienti e non fra i poeti. E non è più
saggio Cecco che Dante allorché, invece di for-
zare la magnificenza divina dopo morte, grida,
ad una domanda su ciò che esiste dopo la vita:

« Or qui convien ch’io taccia
ma quando vederò lo tempo e il loco
di ciò convien ch’io ti satisfaccia
»?

Ditemi, frate: non è più saggezza?
Nelle discussioni di scienza, anche dall’alta
cattedra di Bologna, Maestro Cecco tutto sotto-
pose a nostra Fede. Ecco un brano della sua lezio -
ne sulla quarta parte della Sfera del Sacrobosco :

« ... E così, nella sua morte (di Gesù) ci fu l'e-
clissi ed altre cose mirabili; ma poiché costoro
parlano del dominio delle regioni zodiacali e non
danno prove, le loro parole sono vane e biliose e
contro la verità della santa, veneranda fede, per-
ché Cristo Nostro Signore non fu uno di quegli
dei prodotti per influssi di corpi celesti e di incu-
bi e succubi, anzi, fu veramente Figlio di Dio

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IO DIFENDO

vivo che venne nella Vergine gloriosa per rito-
gliere dalle mani del nemico il genere umano
».

È evidente, Accursio, che se in un commento
di astrologia Maestro Cecco poteva cosi altamen-
te venerare e riconoscere l’essenza divina di No-
stro Signore il Cristo, ne questa scienza ne, tan-
to meno, lo scienziato possono essere rei patenti
di sacrilegio.

Ma ancora voglio leggervi di Cecco: « E che
veramente (Gesù) sia Figlio di Dio e non fatto
dalla natura dei corpi celesti, anzi autore della
natura celeste, ci appare da mólte prove ».

Incidentalmente ritorno, Inquisitore, all’oro-
scopo astrologico confermato da Cecco su Nostro
Signore Cristo: il Cristo, anche se nasce sotto
l’imperio degli astri, non ne è soggetto ciecamen-
te, ma Egli stesso penetra nella vita della carne
in un momento zodiacale da lui prescelto; ed ec-
co perché, vi ripeto, si dissolve l'accusa di sacri-
legio : e Cecco la esclude espressamente dicendo :

« Non fatto dalla natura dei corpi celesti, anzi
autore della natura celeste ». La Sua potestà di-
vina rimane confermata dal fatto che Nostro Si-
gnore il Cristo è autore, e come tale ha prescelto

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CECCO D'ASCOLl

il Suo proprio destino; ed ecco perché l'oroscopo
non contraddice, ma conferma la natura divina
del Figlio dell'Uomo.

Questa smentita all'accusa più grave è sostan-
ziale; io volevo dirvi, frate, che Maestro Cecco,
anche nel vivo della discussione scientifica, mai
ha urtato la verità della Fede e del Cristo, così
come è provato dai testi. E su questo punto ri-
chiedo un'attentissima cautela: non è necessario
che scienza e religione dissentano nelle mete e
nelle intenzioni. Se Iddio nostro è in ogni cosa,
si può giungere a Lui da ogni principio, confon-
dersi in Lui nel raggiungimento di qualsiasi me-
ta. La scienza è amore per il mistero: e illumi-
nare il mistero non è che adorare il Dio, se Dio
è
la verità.

Non fate, no, frate Accursio, del processo con-
tro Messer Francesco Stabili, un ultimo, ingiu-
sto attacco a quella nostra Fede che sempre di
più diviene operante e viva allorché osserva i
motivi— diffusi in ogni elemento e in ogni cosa
— di armoniosità e di bellezza.

Io dovrei adesso difendere la scienza e non più

lo scienziato; dovrei difendere voi stesso contro

il vostro sapere aristotelico, cioè pagano, ma dive-

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IO   DIFENDO

nuto cristiano perché sorgente profonda per me-
glio onorare e venerare lo Iddio nostro. Cosa che
non farò, anche perché voi mi rifiutereste come
vostro difensore. È ancora Aristotile, è vero, che
regna e governa sulla scienza profana, cosi che
ciò che da lui e dalla sua sapienza non sia venuto
è pericoloso e contrario al vero. Ma la vita si tra-
sforma. L’associazione del vero con la sapienza
aristotelica non è e non sarà eternamente giusta.

II nostro Messer Francesco questo sapeva e dis-
se: « Non è virtù non dubitar al mondo »; que-
sto disse; anche se poi Cecco da un canto e il fio-
rentino Alighieri dall'altro vissero in intolleran-
ti certezze; ma prima di credere essi avevano
vissuto il « dubitar m'aggrada »; e quel credere
dopo il dubbio è saggezza, perché è una fede tor-
mentata.

Maestro Cecco è nella vita come siete voi» Ac-
cursio» e anch'egli ha melanconie e terrori:

 

«Cosi degli animati muove il sangue
fra luce e notte, sì come fa il mare
e lo mon s’attrista e la natura langue;

però in qualche ora gli animi umani

senza ragione senton pene amare ».

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CECCO D'ASCOLl

Anche Cecco si sentiì immensamente piccolo
dinanzi al mistero. Ma la sapienza è necessaria
perché l’abbandono a Dio non sia soltanto per
paura, ma sopratutto per amore; un amore che
voi, frate, non potete immaginar sacrilego e
stolto.

« Cosa perfetta non è senza fine;

principio d’ogni bene è conoscenza;

prima sii bono innanzi che abbi faccia;

intendi e vedi con la mente a scienza
che mai I eterna beata natura
senza ragion non fece creatura
».

La scienza di Cecco non mira che a provare la
perfezione delle cose, cioè di Dio. E ancora (è
una protesta contro l'Alighieri):

« Non fa necessità ciascun movendo,
ma ben dispone creatura umana
per qualità, cui l’anima, seguendo

   L'arbitrio, abbandona e fassi vile
e serva e ladra e, di virtute estrana
da sé dispoglia l’abito gentile.
In ciò peccasti, fiorentin poeta,

    55 —

 

IO DIFENDO

ponendo che li ben della fortuna

necessitati sieno, con lor meta.
Non è fortuna cui ragion non vinca ».

 

E più oltre:

« Non vai ventura a chi non s'affatiga:

perfetto bene non s’ha senza pena «.

Questi sono versi di quel poema che volete far
bruciare perché eretico e diabolico. È Messer
Francesco stesso che vi richiama alla giustizia,

Accursio:

« Giustizia non è altro, a mio vedere,
che a ciascun tribuendo sua ragione
con il fermo e perpetuo volere.
Giusto e quegli che vive onestamente,
e non offende altrui né fa lesione,
a ciascun da suo merto puramente.
E questi porta del trionfo olive
e nell’eterna pace sempre vive
».

Dove e come poter trovare in questi versi i
reati demonologici di cui voi accusate? E se —

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CECCO D'ASCOLl

vi ripeto ancora — nella trattazione scientifica
del poema, solo rintronano i maestri di Grecia?
Ma io voglio rendervi chiaro Maestro Cecco:

« Ma voi, Lombardi, con l’ampiata gola,
faretevi ribelli di San Pietro
pur risguardando l’aquila se vola
«.

La Sede romana, Messer Francesco, eretico co-
me dite, difende contro la ghibellina schiera mi-
lanese. E tutto il poema noi potremmo vedere
assieme, e mai voi potreste trovarvi il sacrilegio,
lo schianto infernale, l’ira ribelle e demoniaca,
l'odio per la nostra santa Fede, spregio dei Testi
e dei Dottori; ma solo amore e sapienza.

Anche angoscia, è vero, frate, ma non quella
dell'invasato e del maledetto; l'angoscia e la tri-
stezza della creatura umana nella vita dolorosa:

 

«Per te sii buono, non sperando in uomo,
che troppo ha sale la pena col pranzo
dell altrui pane
».

Ancora protestando contro questo processo di
Firenze, ingiustificatamente acceso su quello de-

57

 

IO   DIFENDO

finitivo di Bologna del 1324, concluso con sen-
tenza di frate Lamberto da Cingoli, io chiedo che
Messer Francesco Stabili, ascolano, dett Cecco
d'Ascoli, medico e Maestro nell'alta Università
di Bologna, venga assolto e immediatamente li-
berato. E ciò perché non risultano provate le ac-
cuse di sacrilegio, di eresia, di ribellione. Chiedo
che il poema suo, l’Acerba non sia condannato
al rogo. In via subordinata domando che al mio
difeso venga solamente riconosciuta la colpa di
indisciplina, e il poema purgato dai versi che
l'altissima sapienza di Roma ritenga oscuri per
la coscienza dei dotti e degli ignoranti, ma co-
munque, e sotto nessuna imputazione, non di-
strutti, ma conservati.

E voi. Eccellentissimo frate, cosi deciderete
per il nome vostro e di Fiorenza tutta, e di noi
che crediamo nell'eterna saggezza di Nostra
Chiesa Romana e Apostolica.

Non per voi Cocco ha scoccato i suoi versi :

Pur in parole è l’ira dei matti
ma quella delli savi
è nelli fatti.

 

QUESTO LIBRO DI BRUNO CASSINELLI
È STATO FINITO DI STAMPARE DAL-
LA SOC. AN. « LA TIPOGRAFICA VA-
RESE» , IN VARESE, VIALE MILANO 20,
PER CONTO DELLA SOC. AN. « COR-
BACCIO », DALL'OGLIO, EDITORE, IL
5 OTTOBRE 1951.

(Terza edizione)