AMEDEO FERRETTI

 

 

Una difesa

di Cecco d’Ascoli

 

 

Ascoli Piceno

Casa Editrice di Giuseppe Cesari

 

 

Questo scritto fu pubblicato da un quotidiano
della Capitale e da un settimanale locale. Poche sono
le varianti introdottevi e perciò esso ha i pregi e i
difetti della letteratura giornalistica :
cercare d' essere
interessante ed efficace pur essendo redatto con rapidità,
non dire cose troppo nuove e dimostrare quanto si
afferma senza citazioni più o meno dotte ed erudite.

 

I.

La fama di Cecco d'Ascoli

Sommario: 1. Fautori e denigratori di Cecco d'Ascoli - 2. Dante
e Cecco d'Ascoli - 3. Cecco d’Ascoli precursore ? - 4. Fama
imperitura di Cecco d'Ascoli e i «Fedeli d'Amore».

1. Fautori e denigratori di Cecco d'Ascoli.

Se si volessero raccogliere tutte le difese e le
accuse che i fautori e i denigratori hanno scritto in-
torno a Francesco Stabili, detto Cecco d'Ascoli, si
potrebbero compilare dei volumi, ne l'argomento
sarebbe esaurito, perché di tanto in tanto la figura
e l'opera del grande Ascolano suscitano l'interesse
degli studiosi e dei dilettanti, i quali tutti, chi per
un motivo, chi per un altro, reputano di dover pro-
nunziare elogi ditirambici o scagliare strali più o meno

appuntati, più o meno avvelenati sul nome o sulla
fama di lui.

Strana sorte quella dello Stabili, che mentre da
Francesco Petrarca era salutato: «Tu sei il grande
Ascholan che ‘l mondo allumi », dal Carducci, molti
secoli dopo, era chiamato: « Ciuco, bestia, minchione
et ignorante ».

 

2. Dante e Cecco d'Ascoli.

Nocquero all' Ascolano i fieri e sdegnosi versi
ch'egli rivolse all'opera del nostro sommo poeta, per
cui chi ama e ammira Dante Alighieri si sente of-
feso da quel giudizio. È vero che allora i poeti non
si trattavano tanto per il sottile ed è pur noto che
Cecco Angiolieri, un altro Cecco, ma ben diverso
dal nostro, rivolse al poeta fiorentino il famoso so-
netto ch' incomincia: « Dante Alighier, s'io son buon
begolardo » e finisce : « Ch' io sono il pungiglione,
e tu se' il bue », con un complimento cioè, che
può stare alla pari con quello del Carducci al nostro
Cecco.

Forse molti ammiratori di Dante confusero l' au-
stero Ascolano con il beffardo Senese, attribuendo al
primo anche gli insulti del secondo, senza pensare
che l'uno e l'altro ebbero pure stima grandissima di
Dante e l'Ascolano lo dimostra in vari punti dell'o-
pera sua maggiore.

Infatti il prof. Giovanni Spalazzi nel suo discorso
« Cecco d'Ascoli quadro storico del Sig. Giulio Can-
talamessa » letto in Ascoli Piceno il 14 marzo 1876,
nota che « nell'Acerba si fa un dieci volte menzione
di Dante implicitamente o apertamente » e aggiunge
« non mai parmi che la parola di lui suoni irrive-
rente al Poeta, oltraggiosa al gran nome di Dante ».
E successivamente accennerò che Cecco e Dante ap-
partenennero ad una medesima scuola che fu detta
dei « Fedeli d'Amore » e del » dolce stil novo ».

Ma, tant' è, noi siam fatti così : chi osa toccarci
l'oggetto del nostro amore non può essere da noi
amato e poiché tutti amiamo Dante, il genio della
poesia e della nostra stirpe, non ci può far piacere,
chi, sia pure in buona fede, con intenti diversi, ma,
purtroppo, in tono cattedratico, abbia osato chiamare
il poetare divino di Dante, un cantare « a modo delle
rane ».

Quanto al tono cattedratico il nostro Cecco non
si può giustificare in modo alcuno e lo stesso Spa-
lazzi, che abbiamo citato sopra, scrive. «Ci dispiace

e ci offende il dire arcigno e intollerante del Catte-
dratico, il sentenziare assoluto del Filosofo, troppo

convinto d'una scienza che credeva unica eclusiva».    .

Rispetto al parlare al « modo delle rane » lo
Spalazzi nel suo discorso vuol dimostrare, ma non
troppo esaurientemente, che questo verso e gli altri
non si riferiscono specificatamente a Dante, ma in
generale agli scrittori di cose frivole, ai poeti cultori
della forma e non della materia, ai poeti del « verso
che suona e che non crea ».

Ma erroneamente si pretende da Cecco che,
rimbrotta così aspramente Dante, una poesia se non
superiore, pari o almeno poco inferiore a quella del
Fiorentino. E’ una pretesa che offende il nostro senso

critico, perché non è con un confronto che si giu-
dica la poesia d' un autore, perché allora, anche la
poesia del robusto Maremmano, con tutto l'amore e
il rispetto che gli dobbiamo, è assai lontana da

quella dell'Alighieri e del Leopardi.

   Voler considerare la poesia di Cecco e quella
di Dante come due rivi di una stessa vena, ai quali
poter egualmente dissetarsi è un errore; è un voler
da Cecco quello ch'egli forse pretendeva di darci,
ma che non ci ha mai dato e mai ci darà.

3. Cecco d'Ascoli precursore ?

Oltre che come antagonista di Dante, il nostro

Cecco è noto anche per la fine disgraziata che fece:

gli si tagliarono le vene della fronte e fu arso vivo,
giusta la sentenza dell' Inquisitore Accursio.

Questa sua morte e la sua fama di negromante
e di scienziato furono anch'essi argomenti per esal-
tarlo e per abbassarlo. Vi fu chi vide il lui un mar-
tire della libertà di pensiero, un precursore delle an-
sie dei poeti e degli scienziati dell' Umanesimo e
della Rinascenza, un Lucrezio redivivo, un precursore
addirittura di Galileo Galilei, dell' Illuminismo e del-
l' Enciclopedia e chi più ne ha, ne metta.

4. Fama imperitura di Cecco d'Ascoli.

Altri invece dissero che come scienziato non va-
leva e non sapeva nulla e che sarebbe bene gettarlo
nel dimenticatoio e... fondere la statua che gli asco-
lani e comprovinciali, residenti in America, gli han-
no eretto nella maggior porta d'entrata della sua città.

La fama dell'Ascolano è però una di quelle che
non vuole e non può perire.

Dante e i maggiori poeti del suo tempo gli furono amici: Leonardo da Vinci, la mente più enci-
clopedica che sia esistita, il Sommo dei Sommi, lo

studia; nel Cinquecento non v'è poeta, ne scien-
ziato che non lo conosca. Giovanni Papini lo mal-
tratta, ma quando poeti, letterati, pittori, futuristi, fra

i quali lo stesso Papini che ne assume la direzione,
vogliono a Firenze, nella città di Dante, fondare un
periodico d'avanguardia lo intitolano « Lacerba »,
togliendo l'apostrofo e riunendo l'articolo con il no-

me, lasciando in sospeso l' interpretazione interessan-
tissima e arditissima del titolo originario del poema
del grande Ascolano che i futuristi osano contrap-
porre alla tradizione.

Il rovetano Gerolamo Tartarotti, studioso di let-
teratura, segnalatore dei difetti del Marino, nelle sue

due opere magistrali « Del Congresso notturno delle
Lammie » e « Apologie del Congresso delle Lam-
mie » in pieno Settecento difende contro l'opinione
di Del Rio, il nostro Cecco d'Ascoli dall' accusa di
stregoneria e di negromanzia.

Il gesuita Martino Del Rio o Delrio scrisse l'o-
pera « Disquisitionum magicarum che purtroppo fa-

ceva fede nei processi di stregoneria. Il Manzoni, con
fine ironia, dice che « Don Ferrante con la scorta
principalmente del gran Martino Deirio (l'uomo della
scienza) era in grado di discorrere ex professo del
maleficio amatorio, del maleficio sonnifero, del male-
ficio ostile e dell'infinite specie che purtroppo, dice
ancor l'anonimo, si vedono in pratica alla giornata,

di questi tre generi capitali di malie con effetti così
dolorosi (<< I Promessi Sposi » capitolo XXV II) ».

Questa difesa del Tartarotti contro il Del Rio,
è stata di recente ricordata da A. S. Nulli nella sua
opera « I Processi delle Streghe » edita da Giulio
Einaudi di Torino.

5. Cecco d'Ascoli e i " Fedeli d'Amore “.

Gli Ascolani non residenti in America, hanno
eretto a Cecco un monumento più imperituro di
quello di bronzo con la pubblicazione dell'edizione cri-
tica de « L'Acerba » curata dal prof. Achille Crespi.

L'opera stampata con i tipi della Casa Editrice
Giuseppe Cesari di Ascoli Piceno ed edita nel VI
Centenario della morte di Francesco Stabili fu quin-
di pubblicata nel 1927 quando, quasi contempora-
neamente, Luigi Valli pubblicava nella « Biblioteca
di Filosofia e Scienza » edita dalla Casa Editrice
« Optima » di Roma nel 1928 la sua poderosa opera :

« Il linguaggio segreto di Dante e dei « Fedeli d’a-
more»,
in cui «L'Acerba” di Cecco d'Ascoli viene
posta fra le opere dei contemporanei di Dante quali
i «Documenti d'Amore» di Francesco Barberino.

« L'Intelligenza » di Dino Compagni, che pur diffe-
rendo esteriormente dalla poesia d'amore del « dolce

stil novo » sono informate allo stesso profondo spi-
rito mistico, alla stessa dottrina segreta, escono in
altri termini, dal seno della medesima Setta ».

L'opera del Valli suscitò interesse e discussioni
fra i dantofili e i trecentisti, ma, per quel ch'io so,
non ebbe risonanza fra gli studiosi di Cecco d'Ascoli,
benché l'argomento trattato e il nuovo aspetto sotto
il quale veniva esposta la poesia dello Stabili meri-
tavano una migliore accoglienza e m'auguro che
qualche studioso raccolga questo mio invito.

 

II.
La difesa di Cecco d'Ascoli

Sommario : 1. « Io difendo » di Bruno Cassinelli - 2. Dodici clienti
hanno trovato un difensore senza toga - 3. La difesa di
Cecco d'Ascoli - 4. Errori procedurali - 5. L'accusa infondata
e la calda difesa.

1. lo difendo " di Bruno Cassinelli.

Dell'opera ponderosa del Valli mi basti aver fatto
un accenno, benché io mi proponga di trattarne in
altr'occasione, qui intendo intrattenermi sulle poche,
ma succose pagine che recentissimamente su Cecco
d'Ascoli ha scritto Bruno Cassinelli nella sua opera
« lo difendo» la cui seconda edizione è stata pub-
blicata di recente dalla Ditta « Corbaccio » di Mi-
lano. La fama di Cecco non muore ed ogni tanto
qualche persona d'ingegno sente il bisogno di parlare
di lui.

Come l'opera del Valli così lo scritto del Cassi-

nelli è stato pubblicato senza che nessun studioso

di Cecco d'Ascoli l'abbia notato. Eppure noi asco-
lani non dovremmo lasciare inosservato quanto sul
nostro conterraneo viene scritto.

Il Cassinelli è un penalista di grande cultura, è
uno dei migliori oratori viventi ed è uno scrittore di

valore. Egli ha scritto qualche anno fa la « Storia
della pazzia » che la critica ha accolto con gran fa-
vore e di cui è stata già pubblicata una seconda

 edizione.

 

2. Dodici clienti hanno trovato un difensore senza
toga.

Egli, come scrive nell'autodifesa che ha premesso
alla seconda edizione, ha « difeso — contro il tempo
e lo spazio — morti di mala morte, portatori d' in-

famia e d'ignominia stabilita e confermata ». E prose-
gue... « Nessuno di questi miei favolosi difesi è pas-
sato nelle stanze del mio studio... nessuno di loro
ha atteso il suo turno. Circe non è caduta nella
gran poltrona sollevando leggermente la gonna fino
al ginocchio come molte sue dolci sorelle di dopo ;

e Cecco non m' ha mostrato il collo doloroso nella

cocolla fratesca.... Il mio studio è rimasto esente

dalla visita di cotanti personaggi »: E i personaggi
difesi, dodici in tutto, sono storici, leggendari e imma-
ginari, uomini e donne di tutte le epoche, Erostrato,
Cecco d'Ascoli, Santa Chiara, Cleopatra, Yorick e
i becchini, Circe, Eva, Giuda l' Iscariota, Giuliano
l'Apostata, Carolina Invernizio, Pinocchio e il Duca
di Windsor. Ad essi in una prossima nuova edizione
s'aggiungerà quella dell' ammiraglio Francesco Ca-
racciolo.

3. La difesa di Cecco d'Ascoli.

Non è di tutta l'opera del Cassinelli che intendo
parlare. C' interessa vedere come il Cassinelli avreb-
be difeso Cecco d'Ascoli nell'anno di grazia 1327.

La difesa avrebbe, come in linguaggio curiale si
suoi dire, sollevato un incidente pregiudiziale per
chiamata di correo nella persona di Carlo duca di
Calabria, padre di Giovanna. Il duca Carlo era figlio
di re Roberto di Napoli, al quale Firenze aveva dato
la Signoria della città per dieci anni con una prov-
visione di duecentomila fiorini, ma che in un anno

divennero quattrocentomila, come scrive il Machia-
velli nelle sue « Istorie Fiorentine ».

E la chiamata di correo, nonostante la posizione
elevata del Duca, era più che giustificata e fondata,

perché, se il delitto per il quale Maestro Cecco era
accusato era quello di aver letto negli astri, d'eguale
delitto doveva essere accusato chi lo aveva incitato,
ispirato, istigato a leggere. Il duca Carlo credeva
negli oroscopi : che colpa aveva Cecco se dietro suo
ordine aveva letto la vita della di lui figlia Giovanna e
aveva pronosticato che sarebbe stata regina d'un fio-
rente regno, ma avrebbe condotta una vita di lus-
suria e di libidine ? Se il pronostico fosse stato più
favorevole al Duca, forse questi non sarebbe dive-
nuto nemico dell'Ascolano e non lo avrebbe lasciato
nelle mani dell' Inquisitore. Sull' incidente pregiudi-
ziale che non fu mai sollevato, ma che oggi, secondo
le norme e la procedura penale, verrebbe riconosciuto
meritevole di attenzione, la difesa non insiste anche
perché troppo in alto era collocato il correo e la
giustizia umana non l'avrebbe mai raggiunto. Ma la
posizione del Duca, Signore di Firenze e la dipen-
denza da lui dell' Inquisitore Accursio, avrebbe potuto
far sollevare alla difesa l'altro incidente pregiudiziale
che il processo non doveva farsi a Firenze per « le-
gittima suspicione », tanto più che frate Lamberto da
Cingoli aveva già giudicato in Bologna sullo stesso
reato e non l'aveva riconosciuto di quella gravità che
gli attribuì poi il giudice fiorentino.

 

4. Errori procedurali.

Questi spunti rapidi, questi incisi del Cassinelli
meritano d'essere approfonditi, e io vorrei che qual-
che giurista ascolano, conoscitore profondo della
procedura penale ricostruisse tutto il processo di
Maestro Cecco e ne dimostrasse i vizi di forma così
come alcuni anni fa fece magistralmente l'avv. Gio-
vanni Rosadi di Firenze per il processo di Gesù,
nel suo libro intitolato appunto « II Processo di Ge-
sù », e come di recente ha fatto, ricostruendo pure
il processo civile del Nazzareno davanti a Pilato, il
padre Giuseppe Ricciotti nella sua recente e mera-
vigliosa «Vita di Gesù Cristo». Non vorrei però es-
sere frainteso, perché fra i due c' è un abisso : vo-
glio dire solo che il processo di Cecco vale la pena
di essere ricostruito e analizzato per dimostrare che
anche proceduralmente fu una grave ingiustizia.

5. L'accusa infondata e la calda difesa.

Ma seguiamo, sia pure a grandi tratti, il Cassi-
nelli nella sua difesa ; tanto più che in questa — a
differenza di altre contenute nel libro — egli si

colloca nel secolo nel quale parla: sembra proprio

il difensore dell'anno di grazia 1327. Ed è, la sua,

una difesa calda, appassionata, sincera : non vi sono
ne esagerazioni, ne finzioni oratorie ; procede rapida,
serrata, logica come un teorema euclidico.

L'autore difende l'ascolano dall'accusa di eresia
e dice che la profonda scienza di Cecco non mira
che a provare la perfezione delle cose, cioè di
Dio. Studiare le stelle non è magia, e leggere nelle
stelle la missione di Gesù Cristo, la sua vita e la sua
morte, era un reato lieve pel quale era stato già
giudicato e condannato per indisciplina e non per
eresia.

Parla poi di Cecco che idealmente vive fuori del
tempo suo, nello stesso modo che l' Inquisitore Ac-
cursio e il Duca Carlo vi sono troppo dentro.

Le mie parole non valgono a riprodurre l'appas-
sionata eloquenza del Cassinelli, ma non posso tra-
scurare d'accennare alla difesa ch'egli fa di Cecco
come poeta. Nessuno meglio del Cassinelli dimostra
la consistenza di questa difesa riportando molti versi
del nostro poeta. Secondo l' opinione più diffusa, si
crede che Cecco, nato intorno al 1269, sia morto a
circa cinquantott' anni. Il Cassinelli invece, seguendo
una diversa opinione crede che Cecco sia morto
molto più giovane, e si basa sui i versi del « L'A-
cerba » in cui dice di sé :

 

Chè speso ho il tempo di mia poca vita
in acquistarmi scienza ed onore.

 

E perciò, rivolgendosi al giudice : «Se Cecco di-
ce di Aristotile ecco che voi lo vedete e lo sentite
rigido... ma appena egli si trasporta nel più eletto
campo dell'ardore platonico, la poesia erompe e di-
vien leggera. Cecco è un poeta che ha solo bisogno
di vivere perché diventi grande ».

Anche l'inimicizia di Cecco per l'Alighieri è
posta ne' suoi veri termini : non è d'origine poetica,
ma scientifica. Fu contrasto fra sapienti e non fra
poeti. La inimicizia fra Dante e Cecco, che per il
Valli ebbe origini più nobili e superiori non deve
servirci per giudicare Cecco e ancor meno la sua
poesia, la quale, la si consideri poesia dei « Fedeli
d'amore » o poesia scientifica, non è quella del Di-
vino Poeta, ma è una poesia in cui, come scrive il
Cassinelli, balenano grandezze di cuore e di mente,
imbrigliata dalla sapienza, dalla sapienza di un saggio,
da quella sapienza ch' è necessaria perché l' abban-
dono a Dio non sia soltanto per paura, ma soprat-
tutto per amore, per un amore che non si può im-
maginare sacrilego e stolto.

Io esorto gli ascolani e gli studiosi di Cecco a

leggere questa difesa del Cassinelli che merita una

migliore e più profonda esegesi di questa mia, per-
ché egli con eloquenza grande e serena ha ricostruito
in brevi pagine l'opera e la vita del grande Asco-
lano la cui figura, liberata dalle passioni e dall'ira
di parte, non offuscata dall'amore che tutti abbiamo
per il suo antagonista Divino, s' impone all'attenzione
di tutti e grandeggia nella storia del pensiero, della

scienza, della poesia della nostra Italia.

 

 

 

INDICE

Premessa  ..........

I - La fama di Cecco d'Ascoli ......

1. Fautori e denigratori di Cecco d' Ascoli

2. Dante Cecco d' Ascoli .    .    .

3. Cecco d' Ascoli precursore ? .

4. Fama imperitura di Cecco d' Ascoli

5. Cecco d' Ascoli e i « Fedeli d'Amore «

II - La difesa di Cecco d' Ascoli    .    .    .

1. « lo difendo « di Bruno Cassinelli     .    .    .

2. Dodici clienti hanno trovato un difensore senza toga

3. La difesa di Cecco d' Ascoli     ....

4. Errori procedurali .......

5. L' accusa infondata e la calda difesa .
Indice ...........

 

 

 

Finito di stampare
il 30 Settembre 1943
con i tipi della
CASA EDITRICE G. CÈSARI
in Ascoli Piceno